testo e regia emma dante                                  Carnezzeria2 foto di giuseppe di stefano

con: gaetano bruno, sabino civilleri, enzo di michele, manuela lo sicco

foto: giuseppe di stefano

produzionecrt centro di ricerca per il teatro

Quando il tuo cane t’ha servito per molti anni e deve morire; quando vuoi disfartene o ha peccato; quando la sua pelle si sia coperta di croste e di minuti animali, le sue orecchie si siano sfrangiate e sanguinino, il suo naso sia sempre arido, ed esso si trascini dietro le zampe posteriori, abbandonate sul fianco, come una cosa morta; o quando la sua vista ti sia divenuta intollerabile – non affidare questo che fu tuo amico a mani straniere, neanche alle mani del tuo fratello: egli non lo conosce quanto te; non fare che senta di morire, serbagli l’ultimo rispetto e dagli tu stesso la morte; chiamalo in un angolo del giardino, dagli l’ultimo osso da rodere, accarezzagli il capo con una mano e, coll’altra, senza che se ne accorga…
Tommaso Landolfi

Ho visto nelle facce della gente occhi di lucertola, seminascosti dalle palpebre; occhi di cavallo, iniettati di sangue; e occhi di mucca, luminosi e bagnati, con una struggente dolcezza interiore.
Erano uomini strappati a se stessi, scannati da una vita insulsa. Animali impauriti e pericolosi che con la propria profonda capacità di partecipare alla sofferenza andavano perdendo col tempo ogni parentela umana.
“Carnezzeria” è la storia di una di queste famiglie di carne da macello, con i suoi legami morbosi, con le sue fughe isteriche e paralizzanti, con la sua aria ristagnata di odore di fumo.
Il clima è di festa, apparentemente gioioso, ma con un pericolo imminente: bellezza e perdita sono tutt’uno.
Dentro un palcoscenico a forma di immaginetta sacra entrano tre fratelli e una sorella. Ognuno di loro è un personaggio che nella movenza delle ciglia, nella postura del corpo, nel ritmo della voce possiede in sé tutta la bestia che lo ha partorito.
“Carnezzeria” è la cerimonia messa in scena per assolvere una donna dal peccato: pulire la macchia; riparare il guasto; togliere il disonore al figlio bastardo.
Nina,“ a scimunita”, sposa bambina, è vestita di bianco, ma il suo abito precede l’occhio che lo vede: è incinta. Il suo cuore è perso dentro un corpo enorme, deformato dal dolore e dal peccato. Nina porta il segno. È infetta, marchiata. La pancia gonfia è il punto intorno al quale si compie il suo destino, sul quale si accaniscono, con la rabbia dei perdenti, i tre fratelli incapaci di comprendere.
L’unica legge possibile è: “Guardateci con rispetto”- e con rispetto vuol dire “guardateci di nuovo senza abbassare lo sguardo”.
La loro esistenza sta nella loro apparenza. Sesso, corpo, territorio, proprietà, lotta e appartenenza sono gli unici moventi che generano, attraverso una terribile bestialità, tutta la loro natura di zanne e artigli.
Come volgersi verso il loro mondo di bestie? Come entrare dentro la testa di un cane bastonato senza prendersi il contagio della rabbia? Come entrare nei piccoli bisbigli di un topo di fogna e ascoltare in silenzio, per non interferire con gli accadimenti? Come entrare dentro il maiale e vedere nel fango le cose come le vede lui?
Tre fratelli e una sorella aspettano che il rito si compia per cancellare un insopportabile fetore di sporcizia.
Il matrimonio è pronto: il prete, la chiesa, gli invitati, il rinfresco, la banda, i fiori, il figlio di buttana…

Emma Dante


RECENSIONI

Carnezzeria1

Carnezzeria2

Carnezzeria3

Carnezzeria4

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