La compagnia Sud Costa Occidentale è stata fondata a Palermo, nell’agosto del 1999, da Emma Dante.

Dopo anni di forzata latitanza a causa di una consolidata indifferenza da parte delle istituzioni e dei teatri locali, nell’aprile del 2008, la compagnia Sud Costa Occidentale, con le sue sole risorse, mette radici a Palermo in uno scantinato di via Polito, dietro gli ex cantieri culturali della Zisa. La casa si chiama “la Vicaria”, ex fabbrica di scarpe. Oltre a studiare il teatro attraverso un laboratorio permanente, alla Vicaria si sono sviluppati importanti dibattiti, rassegne, performance, incontri e manifestazioni che hanno liberato quel luogo dal vessillo ufficiale del teatro di rappresentanza. Non a caso gli associati che partecipavano alle attività erano soprattutto cittadini comuni piuttosto che addetti ai lavori.

La compagnia Sud Costa Occidentale non è mai stata finanziata da soldi pubblici e ha sempre vissuto dei ricavi della vendita degli spettacoli che produce o che sono prodotti da altri teatri. È composta da attori di esperienze diverse che si confrontano su piattaforme progettuali in cui un singolo spettacolo non è mai fermo, non finisce mai né mai ricomincia, ma si allarga e si restringe a seconda dei casi. Il nostro modo di far teatro non trattiene prigionieri ed è sempre aperto a quei contagi diretti che danno un senso di libertà intellettuale. Persone diverse con diverse specificità e talenti si sono avvicinate al nostro metodo e hanno condiviso per periodi passeggeri la faticosa e rigorosa esplorazione del nostro teatro, permettendo al cuore pulsante del gruppo di essere ancora più forte e compatto.

Il punto di partenza della nostra ricerca nasce, essenzialmente, dal peccato e dal peggio di sé che l’attore deve offrire come atto d’amore. Ciò che ha da dire è chiamato a dirlo interamente, senza vergogna, per superare quel senso del ridicolo che ostacola l’incontro creativo. E soprattutto è invitato a dimenticare l’Io, quel Io predominante e volgare che allontana il vero obbiettivo dell’arte: la necessità di una riflessione profonda sulla vita.

Non ci interessa il risultato, lo “spettacolo” è solo il punto di arrivo di una reinterpretazione paradossale della realtà che diventa linguaggio, dove il segno non è il messaggio, la mappa non è il territorio. Uno spettacolo è un “teorema della menzogna” dove un segno è usato per mentire, per giocare, è un’espressione del paradosso del bugiardo: “Ciò che sto facendo non è ciò che sto facendo”. L’essenziale per noi è scoprire le nervature, applicare il nostro talento in un processo artistico e allenarci tutti i giorni per mettere a disposizione di questa storia la nostra esperienza di vita. Vogliamo entrare consapevolmente in un processo di autorialità per generare le parole prima di pronunciarle.

Non amo gli attori che sanno recitare né gli artisti che si identificano con la loro idea di fare arte. Gioco col teatro come se mi giocassi la vita! Il valore più grande che ha per me un gesto artistico è l’offerta della propria miseria e della propria dignità. “L’unica cosa che conta è offrirsi umilmente come campo di battaglia” scriveva Etty Hillesum.